E’ una malattia cronica, infettiva, causata dal Mycobacterium leprae, che interessa principalmente la pelle ed i nervi periferici. Il M. leprae è un bacillo acido-resistente, e considerato un parassita a vita intracellulare obbligata. La Lebbra, ha la sua massima diffusione là dove regna la miseria e la fame, e non è curabile se oltre all’assistenza sanitaria con i medicinali adatti, non si assicura ai malati anche un nutrimento sano e abbondante. La lebbra è una malattia infettiva e contagiosa che colpisce la pelle, i nervi, i muscoli e le ossa.
È causata da un bacillo appartenente allo stesso gruppo del batterio della Tubercolosi (il Mycobacterium leprae o bacillo di Hansen), dal nome del medico norvegese Gerhard Armauer Hansen (1841-1912), cui si deve la sua scoperta, avvenuta nel 1874; per tal motivo i lebbrosi vengono anche chiamati hanseniani. La malattia è favorita dalla scarsa alimentazione e dalle precarie condizioni igieniche che indeboliscono le difese dell’organismo. La lebbra, se non viene curata in tempo, può causare gravi deturpazioni e mutilazioni.
Praticamente il connubio di guerra, denutrizione, ignoranza, mancanza di precauzioni sanitarie e d’igiene, favorisce la comparsa di questa malattia. Essendo una patologia legata al sottosviluppo, gli stessi Paesi più colpiti tendono a mascherare i dati statistici relativi alla sua reale diffusione.
Anche se la caduta drastica dei nuovi casi, sopratutto in India, sembra da attribuirsi più a ragioni politiche e di immagine che non ad una diminuzione effettiva, negli ultimi 20 anni, grazie all’intensificarsi dei controlli e alle migliori cure farmacologiche, oltre 12 milioni di persone hanno ottenuto la guarigione. Tuttavia, permangono le conseguenze legate al morbo: sono circa 15 milioni le persone disabili o emarginate a motivo della lebbra. Poiché il bacillo della lebbra appartiene alla stessa famiglia di quello della tubercolosi (BCG), il vaccino antitubercolare presenta una certa efficacia, almeno contro le forme multibacillari della lebbra, e potrebbe, perciò, essere usato in forma preventiva. Tuttavia a motivo della bassa copertura della sanità di base locale, non esiste una vaccinazione di massa. Resta discutibile che a oltre un secolo dalla individuazione del bacillo non si sia ancora giunti a un vaccino specifico. E la ragione è molto semplice: le case farmaceutiche non hanno nessun interesse a realizzare un vaccino destinato a individui con uno scarso potere d’acquisto!
Diffusione
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha pubblicato i dati aggiornati sulla situazione della lebbra nel mondo nel 2015, emerge che il numero di nuovi casi di lebbra è leggermente diminuito: da 213.899 (2014) a 210.758 (2015); con una differenza di soli 3.141 casi in meno [fonte AIFO]. I dati però sono parziali, in quanto tra i 92 Paesi che non hanno segnalato casi di lebbra, ve ne sarebbero alcuni in cui la malattie risulta endemica! Accanto ai miglioramenti registrati in alcuni Paesi, ve ne sono altri, in Africa e nel Sud Est Asiatico, nei quali si è avuto un aumento dei nuovi casi. La malattia risulta altamente localizzata: in 14 Paesi si concentra il 95% dei nuovi casi. In testa si confermano India (127.326), Brasile (26.395) e Indonesia (17.202). Per la prima volta l’OMS registra anche i nuovi casi in Europa (18).
Contagio
Il contagio inizia con l’ingresso del bacillo nell’organismo umana attraverso la cute non integra o le alte vie respiratorie che rappresentano la principale via di entrata diretta. La immunità cellulo-mediata (ICM) dell’ospite condiziona la sorte del bacillo penetrato nel corpo. La maggior parte della popolazione (oltre il 95%) non sviluppa la malattia, anche se ha contatti stretti con malati: il bacillo penetra nell’organismo, causa una transitoria infezione e poi viene eliminato. Vi sono, però, alcune parti del corpo umano in cui non si attivano le difese immunitarie per cui il bacillo della lebbra ha tutto il tempo di diffondersi attraverso il sistema nervoso periferico cutaneo. Nel giro di 5 anni provoca poi una grave forma multibacillare.
Sintomi
È assai difficile diagnosticare la lebbra, in quanto i primi sintomi possono manifestarsi anche dopo 5-10 anni dal contagio iniziale, addirittura in certi casi limite sino a 20 anni (a motivo del fatto che esistono certe formi del bacillo “dormienti”); per cui il bacillo ha tutto il tempo di diffondersi in maniera subdola con generici dolori di tipo osseo e nervoso. Successivamente compaiono macchie biancastre e rosse sulla pelle, compaiono i “noduli” sulla pelle; segue la perdita della sensibilità tattile. I nervi colpiti dalla malattia provocano dolori lancinanti e lentamente l’atrofia e la paralisi degli arti provoca ulteriori malformazioni delle membra.
Le conseguenza Oltre alle conseguenze fisiche (deformazioni degli arti, amputazioni, cecità, ecc.) la lebbra è terribile anche per le sue conseguenze sociali. Il lebbroso con la sua famiglia, normalmente, viene immediatamente isolato dal villaggio, sradicato dalla sua terra e dai suoi legami; ritenuto un “appestato a vita”, anche se guarirà, sarà sempre guardato con sospetto, ed in genere non gli sarà consentito di rientrare nel luogo di origine. Questa emarginazione fisica e culturale, non ricade solo sul singolo lebbroso, ma su tutta la famiglia. Gli stessi figli, per quanto sani, seguiranno il destino di emarginazione dei genitori. Per secoli questa malattia ha evocato terrore a causa della sua incurabilità e delle tremende mutilazioni che provoca. Le deformità provocate dall’hanseniasi sono devastanti ed inconfondibili. Solo una cura precoce e tempestiva può evitarle.
Le diverse forme della lebbra
La lebbra è un bacillo che distrugge dapprima i nervi periferici, poi attacca i tessuti causando mutilazioni ed invalidità. Se ne distinguono 3 forme: tubercoloide, maculo anestetica, e lepromatosa. La forma tubercoloide (TT) è quella più semplice, con pochi bacilli e poche lesioni. La seconda forma, detta anestetica o maculo anestetica, è intermedia. Presenta alta probabilità di completa guarigione, e generalmente la cura richiede uno o due anni; si manifesta con la presenza di alcune chiazze decolorate con perdita della sensibilità locale. Conficcare, per esempio, un ago nella parte colpita non genera alcuna sensazione di dolore.
La terza forma, quella più grave, detta lepromatosa (LL), presenta sulla pelle numerosi bacilli. Su tutto il corpo (viso e arti compresi) si manifestano quelli che vengono chiamati noduli lepromi. In un secondo momento si ha la trasformazione dei nervi colpiti in cordoni nodosi, che causano grandi dolori e in seguito insensibilità, deformità e deturpazioni.
La cura
I farmaci di uso più frequente nella cura della lebbra sono sempre stati i sulfamidici DDS; con il Dapsone, dal 1940, si cominciò ad avere una cura, ma il farmaco andava assunto per tutta la vita ed aveva il solo effetto di rallentare la malattia, tuttavia almeno rendeva non contagiosi i pazienti, che di conseguenza potevano evitare l’isolamento nei “lebbrosari”.
Con l’introduzione della Polichemioterapia si può finalmente guarire dalla lebbra. Nel 1982 l’OMS ha proposto per la cura della lebbra due schemi polichemioterapici: uno con 2 farmaci (Dapsone e Rifampicina) per un totale di 6 mesi, destinato ai malati paucibacillari ed una con 3 farmaci (Dapsone, Rifampicina e Clofazimina), o cura MDT, per 24 mesi per i multibacillari. La durata del trattamento può variare da sei mesi (nelle forme leggere) sino a 2 anni nel caso la malattia sia fortemente estesa in diverse parti del corpo. Non si dimentichi però, che, se anche il decorso del bacillo viene bloccato, permangono, purtroppo, gravi mutilazioni; ciò rende i lebbrosi handicappati a vita, ed a motivo dell’ignoranza culturale e sanitaria del problema, agli occhi dei loro vicini, anche se perfettamente guariti, appaiono sempre come dei “lebbrosi” da emarginare.